In un viaggio lunghissimo iniziato 600 milioni di anni fa, il nostro cervello si è evoluto e sviluppato in tre stadi che corrispondono a tre strati principali:
Il cervello rettile la cui funzione è la sicurezza, quello limbico, tipico dei mammiferi, la cui funzione è ottenere ricompense e la corteccia cerebrale, tipico dei Primati, la cui funzione è prendersi cura dei piccoli, ed essere amati ed accettati dal gruppo.
Il funzionamento di questi tre cervelli è profondamente integrato e le tre funzioni principali sono raggiunte da un’azione coordinata; resta però il fatto che ciascuna funzione è eseguita principalmente da quella parte del cervello che per prima si è evoluta per farlo.
Altra caratteristica è che le parti del cervello più antiche, soprattutto il cervello rettile, sono quelle meno plastiche e tendono ad avere il sopravvento sulle altre.
Il cervello rettile è quella parte del cervello che è direttamente collegata con la paura, con la rabbia e col bisogno di sentirsi al sicuro, e che stimola davanti ad un pericolo, reale o percepito come tale, una reazione di “attacco, fuga, congelamento”; inoltre questa parte del cervello che sovrintende alla sicurezza personale, è caratterizzata da una tendenza a sovrastimare i pericoli: all’epoca della caverne era sicuramente preferibile pensare che un rumore fosse provocato da un orso piuttosto che da un uccellino e mettersi al sicuro!
Il cervello mediano, che condividiamo con i mammiferi, è invece focalizzato sulla ricerca di soddisfazioni sensoriali, di ricompense, di nutrimento; è qui che nascono il desiderio, l’attaccamento, il senso di incompletezza; e da qui che nasce la spinta a ricercare nelle gratificazioni la risposta al “senso di vuoto”, il bisogno di “sentirsi nutriti” fisicamente, emotivamente, o spiritualmente
La corteccia celebrale, ovvero il cervello dei primati (quindi dell’uomo e delle scimmie), è il cervello più giovane, che ci spinge a cercare “connessioni, ad essere accettati dal gruppo: evoluzionisticamente infatti il gruppo forniva sicurezza ed aiuto senza i quali da soli non sarebbe stata possibile la sopravvivenza; è qui che nasce l’impulso a prenderci cura dei più indifesi e qui che nasce il bisogno di “amare, essere amati e di far parte del gruppo”.
Vi suggerisco quindi una pratica che si chiama “Calma la lucertola, nutri il topolino, abbraccia la scimmia”, che vi aiuterà a bilanciare o modificare positivamente alcune tendenze, i cosiddetti bias negativi, dei nostri 3 cervelli e che interferiscono con il nostro benessere interiore.
Potremmo prenderci cura dei nostri 3 animaletti o in momenti distinti o uno dopo l’altro a seconda della situazione in cui ci troviamo
Per calmare la lucertola, ovvero per calmare la nostra paura, nei momenti in cui ci sentiamo minacciati da pericoli esterni o interni, o quando ci sentiamo agitati, o quando ci sale la preoccupazione possiamo usare il respiro, allungando l’espirazione e sorridendo, possiamo connetterci con la terra sotto i nostri piedi, possiamo prendere rifugio nel nostro cuore, immaginarci in un luogo sicuro o possiamo fare un gesto di self -compassion;
Quando invece ci sentiamo che ci manca qualcosa, insoddisfatti, in cerca di qualcosa che riempia i nostri vuoti, possiamo nutrire il nostro topolino" concentrandoci sul quello che c'è, godendocelo fino in fondo, sentendoci appagati, sazi delle infinite piccole cose belle che abbiamo e che ci circondano. Gustiamo ogni boccone, ogni sorso, ogni respiro, ogni incontro, ogni momento, ogni fiore, ogni foglia, ogni stella... Possiamo esplorare l’esperienza del momento presente attraverso i 5 sensi e far sedimentare dentro di noi le sensazioni di pienezza, o; possiamo fare l’elenco delle cose belle che ci circondano, possiamo portare alla mente una situazione della nostra vita in cui ci siamo sentiti “pieni, soddisfatti, realizzati”: la nascita di un figlio, un successo lavorativo o scolastico, un sogno che si è realizzato, oppure visualizzare un luogo o un’attività che ci fa sentire “a posto, al nostro centro, soddisfatti, dove non c’è bisogno di altro” e lasciare che le sensazioni sedimentino in noi e ci riempiano; possiamo praticare la gratitudine che, come ben sappiamo, ci mette in contatto con l’infinita ricchezza che ci circonda.
Quando invece ci sentiamo soli, in balia del nostro giudice interiore, quando non ci sentiamo amati, apprezzati, accolti, possiamo abbracciare la nostra scimmia riportano alla memoria persone che della nostra vita passata o presente che ci hanno voluto o ci vogliono bene e immaginarci avvolti dal loro amore e dalla loro cura; possiamo praticare l’amorevole gentilezza nei nostri confronti o praticare gesti di self-compassion, prendendoci cura di noi stessi con amore, dedicandoci ad attività che ci fanno piacere.